giovedì 20 febbraio 2014

Davanti a un fiume in piena #5
16 febbraio 2014

Con la quinta puntata di "Davanti a un fiume in piena", inizia il secondo anno di incontri che abbiamo voluto rimarcare chiedendo a Raffaella Spagna & Andrea Caretto di suggerirci tre domande da porre agli artisti:


1. Quando e come ti sei reso conto che quello che stavi facendo era qualcosa di diverso, che poi hai capito che era Arte?

2. Quando e in che modo si è manifestato l'istinto a compiere delle azioni che possono essere considerate "Arte"? hai riconosciuto subito che si trattava di una "tensione estetica" o poteva essere anche altro?

3. Come artista, oggi nel 2014, a quali urgenze risponde il tuo lavoro?

Nella mattinata hanno presentato il loro lavoro: 

Ennio Bertrand, con un'installazione per telefoni vintage affettivi dal titolo "Sarcofoni", con testi e voce di Ivan Fassio


Ennio Bertrand: questo è un lavoro sulla poesia, sui testi, viene dopo altri lavori sulla parola, come quelli delle bocche scolpite sul sapone dove si soffia e parlano. E' un nuovo inizio dove vorrei usare l'oggetto che parla e ti mette in condizione di essere un ascoltante questo per ribaltare un po' la situazione, non sei tu che telefoni ma sei tu che sei "telefonato" per cui diventi oltre modo passivo e ti vengono suggerite delle cose che poi tu puoi raccogliere o meno e farne quel che vuoi.
Il termine "Sarcofoni", con i relativi testi che si possono ascoltare dai telefoni, sono di Ivan Fassio, che ora ce li presenta.


Ivan Fassio: recentemente ho iniziato a scrivere tre testi in prosa che hanno a che fare con la realtà biologica interpretata non scientificamente ma secondo suggestioni filosofiche, poetiche, creative. Vedere cosa ci sarà dopo la morte e cosa c'è prima, una specie di biologia.
Mi muovo anche sulla etimologia, delle libere ricerche etimologiche "falsate" e inventate da me.
Il sarcofono è colui che divora la carne quando l'uomo non c'è più, dal termine "Sarx" che indica la carne, accostata a "Phoné"= voce, suono, diventa "la voce della carne".
I  testi che si possono ascoltare dai telefoni hanno come tema quello della carne.
Io penso che tutti gli artisti lascino dei "residui" di linguaggio, questo in modo consapevole o meno, ma che poi diventano degli archetipi.

E. B.: una delle componenti più importanti potrebbe essere quella della passività. Sei all'interno di un flusso, che non è poi troppo dissimile da quello che sta fuori, dove vieni raggiunto da sollecitazioni, da messaggi, da cose che ti vengono trasmesse, poi tu ricostruisci un racconto a tua misura, con le tue conoscenze, le tue percezioni, come ad esempio sul tema della carne, del suo disfacimento, della perdita e poi tu ricostruisci un tuo percorso personale. Mi sembra interessante la possibilità di ricostruire una realtà che ci sta sfuggendo, che si è frammentata che si è sbriciolata, da questi frammenti si può ricostruire un contesto che possa servire a qualcuno, al mondo contemporaneo.

I. F.: proprio questo riferimento all'essere consci, molto spesso consapevolmente o meno, di essere passivi è un problema dell'occidente, quello di percepirsi sempre come oggetti attivi che possono fare ma che in realtà "nulla" possono. Un ritorno a un concetto barbarico, orientale, "barbarico" non come incolto ma come un ritorno all'origine, alla mistica, alla carne, alla percezione della nostra esistenza per il valore che ha.

"Sarcofoni" di Ennio Bertrand con Testi e Voce di Ivan Fassio

Alle tre domande proposte come rispondete?
In questo vostro lavoro, c'è un'urgenza di comunicare qualcosa?

E. B. per quanto riguarda la prima, mi è venuto in mente un ricordo. Circa un mese fa mi ha raccontato mia mamma una storia, se ne venuta fuori così…"Ah, sì tu all'asilo avevi vinto il primo premio di disegno, era il più bello!", così sono caduto dalle nuvole, perchè non mi ricordo assolutamente nè dell'asilo nè tanto meno del premio, ho avuto un flash, ma ho quello è basta. E' quindi come se avessi un obbligo da rispettare...è indotto. E' come avere una malattia, la cura esiste ed è nel frequentare la malattia, per cui esiste la cura.
Per quanto riguarda l'urgenza, ieri sera c'è stato un evento al Cafè Basaglia, un reading di poesie, dove ho avuto la senzazione di un ego che strabordava da tutte le parti, allora mi chiedevo, va bene per chi è protagonista in quel momento sale sulla cattedra e legge la sua poesia, ma per quelli che ascoltano cosa c'è?, bisogna "rapportare" questi egocentrismi, visto che io ti do il mio momento di ascolto, vorrei ricevere qualcosa in cambio. Molto semplicemente, parafrasando il telefono, si offre, ma ti da in cambio qualcosa, vorrei che fosse così anche per il resto, uno scambio. Altrimenti diventa un'esibizione personale. L'urgenza quindi è quella di stabilire delle relazioni.


Tony D'Agruma con il video "Mi rendo conto" che sarà parte della seconda tappa "La stanza della verità" del Progetto Voyeur of myself

Performer che si è occupato per molti anni di teatro danza. Ha un'associazione che si chiama "Forma Libera", questo progetto che vedremo ora, fa parte della scenografia di una performance in cui lui interagirà con il video. Il suo progetto è "Voyeur of myself", e porta ad evocare e a fare emergere in modo esplicito ciò che per lui è veramente necessario raccontare, cercando la chiave per cui il pubblico trovi agganci nel proprio vissuto e si riconosca in qualcosa di apparentemente intimo e biografico. La presentazione di tale progetto si conclude con la parola "scorgersi" perchè il progetto si intitola "Voyeur of myself" quindi è un voyerismo introspettivo, estremamente spietato nel quale è difficile restare distaccati osservatori, è facile trovare elementi di essenziale identificazione.
"Mi rendo conto" è il video introduttivo della performance della seconda parte intitolata "La stanza delle verità" è in esso ispirandosi ad artisti sonori, c'è un discorso di contenuti profondi e colmi di interrogativi. L'audio viene disarticolato con una manipolazione sonora che lo porta dal rumorismo incomprensibile all'ascolto esplicito. In controtendenza biologica il percorso verso la comprensione viene raggiunto passando dalla narrazione di una donna anziana per giungere a quella di un'adoloscente. Alle spalle delle narranti, un fondale pulsante e cangiante dà il senso di un respiro e di una pulsazione cosmica incombente.



Fabio Mendolicchio presenta il suo libro "SiamoTuttiAllenatori"
edito da CantaCarta Editore

Mi occupo da tanti anni di cucina, ho fatto la scuola alberghiera, esperienza che è finita nel 2010, nel frattempo ho studiato anche tecnica del suono, grafica creativa, video e nel 2010 ho fondato "Miraggi Edizioni", casa editrice con le copertine in carta da pacchi con un foro dove si vede la copertina, ho pubblicato Guido Catalano, Luca Ragagnin ed altri.
Ho scritto sempre per la musica, sono anche musicista, sono un percussionista, e prima di Miraggi Edizioni, ho iniziato questo lavoro, che nasce circa cinque anni fa e ben si adatta oggi alla questione dell'arte. Notiamo che viviamo in una società in cui tutti si sentono in dovere, alcuni in diritto, di dire agli altri che cosa fare o non fare. Io credo che l'arte e l'artista sia colui che dà in primis a sè stesso, per poter far arrivare la vibrazione che ha dentro. Ogni singola persona deve partire dal "dare" e non dal pretendere di ricevere. Io ricevo nella misura di quando do nella vita.
Questo mio libro nasce anni fa al bar mentre facevo colazione, c'erano 4-5 persone che animatamente discutevano della partita della sera prima e quel giorno lì mi si è aperto un varco enorme, ho iniziato per un anno facendo ricerche in giro; le mie giornate erano scandite dal "martello" quotidiano che mi accompagnava. Il libro che ho scritto è un saggio narrativo, ha all'interno tutti gli stili narrativi immaginabili. E' nato come un diario quotidiano, sono dodici capitoli, l'ho concepito come una sorta di manuale che servisse a me per diventare allenatore nella vita. Ogni capitolo ha una tematica, ed ogni tematica è collegata a tutte le altre. Dentro ogni capitolo c'è un supereroe della vita quotidiana, e questi supereroi hanno la caratteristica di "The question", un investigatore filosofo dei fumetti della DC caratterizzato dal fatto
(http://it.wikipedia.org/wiki/Question_%28personaggio%29),  di non avere un volto ma un punto interrogativo e di risolvere i casi con ricerche zen molto spiccate. Mi è piaciuto il personaggio ed è per questo che nel video porto degli occhiali con degli occhi disegnati per "togliermi" il volto e quindi questo supereroe che non ha volto è il "The question".
 
Fabio Mendolicchio
Ora, per rispondere alle 3 domande:
Per la terza mi pare di aver già risposto anche solo con il titolo del mio libro, invece per la prima e la seconda scrivendo questo libro, posso affermare, anche solo per provocazione, che la "magia" esiste e credo che l'indole artistica ci sia sin dalla nascita, ognuno di noi ha il compito di scoprirla strada facendo. Per esempio io ho iniziato a fare musica a 17 anni, provengo da una famiglia che non ha mai sentito musica, non ho mai fatto corsi, ma un giorno è esploso. Secondo me c'era latente e qualcosa l'ha risvegliata.
Qualche giorno prima che questo libro uscisse è mancata mia mamma, ed io l'ho vista come una cosa molto magica. Ho capito molte cose dopo il libro, perchè ci sono molte componenti dedicate alla morte. Importante per capirla è affrontarla.

Voglio chiudere il mio intervento con una dedica, la dedica del libro, a mia mamma:

"Alla mia mamma, allenatrice a cui ho sempre pensato di avere tempo di dire grazie, invece mi ha insegnato in ultimo che il tempo non è mai abbastanza per sorridere, abbracciare e perdonare, quel tempo da sempre sfuggevole per un bacio, per una carezza e per ricordarsi che può darsi che anche la morte è allenatrice, madre ed amante".


nel pomeriggio a partire dalle ore 15:


Rachele Casarotto insieme a Elisa Diaz,  hanno presentato il progetto "Le quattro bambine" liberamente ispirato alla pièce teatrale di Pablo Picasso "Le quattro bambine". Questo progetto è stato sviluppato insieme a Stefania Luberti, Alessandra Lappano, Elvira Sanchez.

Questo progetto nasce dalla nostra collaborazione come pretesto per una performance che comprenda nell'intento a livello paritario le parole del grande pittore Picasso, le immagini e i suoni da lui evocati una sorta di rielaborazione dei movimenti studiati e rivisitati attraverso la danza flamenca con la quale ci ha aiutato Elisa Diaz. Il tempo e lo spazio si dilatano e si rimpiccioliscono, assumono forme inconsuete e conducono verso una quarta dimensione verso un buco nero nel quale "le bambine" si relazionano per mezzo di un gioco a volte maligno e perverso e a volte innocente e fantastico. Una visione più ampia, un modo per mettere insieme sia arte che scienza,  un rimando a quelle che furono le scoperte scientifiche del secolo scorso quale la relatività di Einstein, e di quello che può essere la concezione di una quarta dimensione. 

Riferendosi alle 3 domande. Partendo dall'ultima, la mia risposta è relazionarsi con una realtà perchè è una necessità. Chiederci cos'è questa realtà e di come ci possiamo relazionare con essa. In merito alle prime domande, semplicemente posso dire che "ho visto la luce" andando a vedere il lavoro di altri, che mi hanno stimolato a pensare se lo fanno loro, perchè non posso farlo anch'io?

Rachele Casarotto

Valerio Manghi con il progetto "Sit on the side of a globe"


Vorrei farvi vedere un lavoro che non ha ancora una forma definitiva, infatti mi sono portato dietro diverse forme, in modo da proporlo e vedere se qualcuno ha un'illuminante soluzione per abbandonare tutta una serie di tentativi e passare ad una cosa più definitiva.
Questo è un lavoro che è iniziato circa due anni fa, che consiste nella raccolta di "spazzatura" che si trova in giro per la strada. Ho adottato un filtro, cioè di raccogliere tutto ciò che portava delle scritte, dei segni di penna, di matita perchè era necessario scartare le cose che erano inutili e si accumulavano soltanto. Ho optato per questa soluzione anche perché occupava poco spazio. Questa raccolta racconta di una città, la stessa città, che poi è Torino.
Dopo due anni ho deciso di suddividere i reperti in macro categorie. Allora avevo questa scatola, l'ho ribaltata sul tavolo e poi ho visto quali categorie venivano fuori del tipo: essere bambini, andare a scuola, ammalarsi, innamorarsi… e poi man mano ne scoprivo delle altre in base alla quantità. Nè ho fatto poi delle scatole. In realtà avevo una direzione molto precisa che poi ho messo in pratica questa notte all'ultimo momento. Prendendo da questi barattoli i pezzi di carta raccolti ho iniziato a comporli come in una sorta di racconto, e poi è nata l'idea di un libro, senza testo ma solo di questi pezzi che direttamente raccontassero ma che non fossero individualmente questi pezzi di carta.
Alla fine ho pensato di fare dei collages, anche qui non è ancora definitivo, ho cercato di dare un ordine, una soluzione che potesse raccontare la vita attraverso queste piccole testimonianze. Nel tempo mentre andavo avanti ho adottato una sorta di metodo che fosse basato su un tentativo di concatenare impressione ed espressione cioè da una parte tu parti da un'impressione e poi scremando tutte le foto che fai, riesci a risalire a delle informazioni su di te ma che sono anche testimonianze di storie passate di lì e che io non incontrerò mai.  

"Raccogliere domandando, cercare e distruggere
frugare sè stessi attraverso un concatenamento
continuo di impressioni ed espressione.
Ipotizzare per conoscere, fuggire prima di riconoscere
Se un mondo può andare in pezzi, tanti pezzi possono dare un mondo?
Valerio Manghi
Veniamo alle 3 domande.
Alla terza...sicuramente sfangarla, cioè una soluzione qualunque bisognerà trovarla, poi io che ho avuto la fortuna e la sfortuna di studiare molto ho imparato che se i problemi non li hai te li inventi. Penso a quando io vado a fare legna, mi immagino se a un contadino gli si dicesse beh, tu domani il tuo lavoro è di stare un giorno davanti ad una scatola seduto in poltrona, sotto la finestra, e lui dice, beh. subito!..è il paradiso. Per me il paradiso è spaccare la legna, in modo che a sera non pensi più a nulla perchè sei stanco morto e io sono contento.
Io mi auspico che si capisca qualcosa in questo mondo che forse è nuovo, perchè forse stanno cambiando dei meccanismi economici o forse no, chissà...


Maura Banfo con il video "Round Trip" e "In un pomeriggio estivo"

e per chiudere in bellezza: Gerry Di Fonzo, fotografo... e non solo! 




Ho ricominciato a fare ritratti, erano molti anni che non me ne occupavo più ora faccio linee colorate, ed ho chiuso questo progetto con il 2013. Quest'estate ho una mostra in Francia, sto anche preparando un catalogo e voglio ritornare a fare il fotografo. Ho qui un lavoro freschissimo, che vi propongo, fatto in un teatro di fronte al mio studio dove fanno danza contemporanea. 


Sono dei ragazzi giovani che si occupano totalmente loro della coreografia e delle luci, sono abbastanza famosi, fanno parte del circo, il circo degli artisti di strada, un movimento con dei bei riferimenti artistici sia per la fotografia sia per altre cose, altri linguaggi. Loro usano tutte le discipline. 


Nell'Europa è considerata una vera e propria arte, qui da noi fanno fatica, noi consideriamo numeri da circo soltanto quelli pericolosi quelli con il doppio salto mortale… c'è questo limite culturale, invece questi fanno tanta ricerca. Sono due italiani, lei è una rumena, anche il regista è un verticalista, è toscano, è lui il comandante della compagnia. Queste per loro sono semplicemente delle prove, una specie di residenza per artista, qui a Torino. 


Poi ho iniziato a luglio con un lavoro su "l'uomo e il fango" con Nathan Ismael, è un giocoliere, e queste performance cominciano con le clavette, le lancia in alto, le fa roteare fino a quando cadono per terra, ed anche lui cade a terra dove c'è dell'acqua e dell'argilla e comincia a rotolarsi nell'argilla. E' un racconto preso a prestito da un libro francese sul modello sociale verticalista, per sensibilizzare ad avere la capacità di discernimento, per avere una propria opinione. 


E' una performance, lui parte con 40 chili di argilla, si butta nell'acqua, la lancia in aria, divide poi l'argilla in due volumi da venti chili, poi la seziona, fino ad arrivare a fare giocoleria con delle "pulci" di argilla come dimensioni, poi verso la fine riesce quasi a stare in piedi. La parte finale del racconto, passa da una situazione di un invertebrato ad un essere capace di stare in piedi. Come genere, parte dagli anni 50 con i giapponesi che facevano il "butoh", una risposta alla bomba atomica: "non ci avete annientato e dal fango risorgeremo", e lui prende spunto da questo ma racconta un'altra cosa. Poi ho lavorato molto in postproduzione, alle foto ho dato un incarnito rosso quasi da fucina, per tornare alla terracotta, per essere coerente con il racconto.


Per quanto riguarda le domande...
Ho sempre pensato che qualcosa va spostato perchè ci sia un risultato, non con le bombe ma partendo dal basso, partendo da quello che è la divulgazione, il parlare, il portare a casa dei proseliti, portandone anche solo uno a casa a far riflettere, a me può bastare. L'urgenza è quella di comunicare ed ora siamo arrivati a capolinea, con la storia dell'arte negli istututi pubblici che non si insegnerà più. Per me l'urgenza è pensare che l'arte e comunque la cultura è qualcosa che può spostare. E questo vale anche per la fotografia.