mercoledì 1 ottobre 2014

Davanti a un fiume in piena #8
in occasione della X Giornata del Contemporaneo
11 ottobre 2014

sabato 11 ottobre 2014

si è tenuto nel nostro studio di Piazza Carducci 130
l'ottavo appuntamento
di "Davanti a un fiume in piena"


Gli artisti invitati erano: 

Franco Ariaudo, Mattia Macchieraldo,
Paolo Leonardo, Cosimo Veneziano.


Al termine dell'incontro sono stati proiettati in anteprima alcuni video registrati il 6 e il 7 giugno per "Davanti a un fiume in piena #7 Bike Edition @ AccaAtelier".

Ecco i diversi interventi della giornata:


Faccio una breve presentazione: sono nato e cresciuto nelle campagne cuneesi, mi sono formato all'Accademia di Firenze, ed ora vivo tra Torino e...dove mi serve, anche se Torino, da una decina di anni, è la città che considero come casa. Faccio progetti artistici che qualcuno potrebbe definire "concept specific", che non è altro che il buon vecchio “site specific” che oltre a misurarsi con uno spazio precostituito, il lavoro si  misura anche con il tempo, ma sopratutto con un contesto determinato. 
Questo suscita tutta una serie di dinamiche piuttosto interessanti ma anche complesse, soprattutto nella fase di presentazione pubblica degli esiti del progetto, perchè ci sono delle premesse da fare che servono per introdurre degli aspetti specifici di un luogo, di una realtà sociale, con i quali il progetto si è  andato a misurare. 

Le mie ricerche trovano quasi sempre una soluzione formale in quello che può essere performance e installazione. In genere la forma restitutiva del progetto non viene stabilita a priori... alla fine può venir fuori un disegno, un dipinto, una scultura, un libro o…anche niente! Questo modo di lavorare ha degli aspetti per me interessanti, come ad esempio il fatto di avere una possibile cooperazione con altri soggetti: in primis sul livello tecnico-pratico (quello che io non sono capace a fare lo devo affidare nella fase di produzione a delle maestranze). Spesso avviene inoltre che questi soggetti intervengano anche sul piano intellettuale, quindi può entrare in scena qualcuno proveniente da un altro settore perchè magari il progetto che si sta sviluppando suscita il suo interesse... un antropologo, un sociologo o a un... cuoco! 
Questo credo dipenda dal fatto che l'artista visivo, forse più di altri, abbia la capacità e sopratutto la libertà, e la leggerezza (che non sempre è un male), di poter intercettare dei “segnali”, e nella restituzione del progetto e nella decodifica di questi segnali ha la necessità di avvalersi di altre persone che lo aiutino nella lettura. Uso il termine "restituzione" non a caso, ma perchè secondo me è una parola particolarmente felice per descrivere quello che è il ruolo dell'artista visivo, e forse anche un po' il suo dovere, ovvero che l'artista, attraverso la formalizzazione del suo lavoro, compia un'operazione su un qualcosa che non solo gli appartiene, ma appartiene a tutti.

Ora vi illustrerò un mio lavoro che in teoria dovrebbe reggere, rispondere positivamente a tutto ciò che ho premesso!
 
E' un lavoro recente.
Questo progetto è ancora in una fase in divenire, nasce all'interno di un'iniziativa dal nome "Local Art" promossa dalla Cassa di Risparmio di Cuneo, coordinata dall'associazione Art.Ur e curata dall'amico Claudio Cravero.  Questa iniziativa consiste nell'invitare artisti nati o residenti o operanti sul territorio di Cuneo a presentare un'opera.
Io in generale non ho mai opere belle e pronte, ma in questo caso non ho potuto resistere alla tentazione di pensare a qualcosa ad hoc per la città di Cuneo, (che poi è la mia città natale). Aggiungo un'altra cosa interessante, relativa al fatto che l'amministrazione cuneese considera come punta di diamante degli “eventi culturali” della Provincia Granda, la Fiera Internazionale del Marrone, ovvero la sagra della castagna di Cuneo. La mia idea è stata di intervenire su questo contesto, partendo da delle strutture che ho visto proprio alla Sagra della castagna, che sono pensate per poter cucinare le caldarroste in maniera molto copiosa. 
Foto Franco Ariaudo
Foto Franco Ariaudo
Questo, per me, era una sorta di apparato performativo molto interessante e suggestivo. Quindi è proprio sulla capacità di cucinare le caldarroste che si è soffermato il mio intervento. Siccome l'evento della sagra della castagna è il momento “culturale” cardine, almeno per l'amministrazione cuneese, ho pensato ad un sistema per poterlo portare ai massimi livelli, in modo che le generazioni future avessero modo di crescere con un'"abilità" e una tecnica e una prestanza fisica adatta per svolgere questa attività, quella di cucinare le caldarroste, anche in futuro. 
Ho iniziato così a fare ricerca ed ho individuato l'esistenza di alcuni attrezzi ginnici nei parchi cittadini, sorte di palestre pubbliche che servono per fare fitness gratuitamente nello spazio pubblico.
Foto Franco Ariaudo
Foto Franco Ariaudo

Ho pensato di coniugare queste due cose, la palestra e il cucinare caldarroste, e ciò che ne è venuto fuori è questo strumento, una sorta di scultura che si chiama "Mundaj Public Gym Gear" (MPGG) , con Mundaj si intendono le caldarroste in piemontese. 
Foto Franco Ariaudo
C'è una fase del lavoro ancora in divenire, infatti è basilare in questo progetto che questo lavoro trovi una collocazione nello spazio pubblico in un parco di Cuneo.
La cosa che interessa a me è che poi, in fondo,  questa "macchina" essenzialmente non serve a niente. Infatti per cucinare le caldarroste non è necessario un potenziamento muscolare...anche i bambini non sanno bene come utilizzarlo, sono attratti dal colore, lo scambiano per un'altalena, ma poi perdono subito il loro interesse...così gli adulti, danno due "spadellate", ma poi tutto finisce lì. 
Ciò che sta alla base di tutto ciò, oltre all'aspetto ironico o di provocazione che ne può venir fuori, è l'idea di questo oggetto collocato in uno spazio pubblico e, siccome è una macchina che non ha futuro nel suo utilizzo, non verrà mai utilizzato. 
Mi piace dunque pensare che questa struttura, che non nasce come monumento, col passare del tempo, lo possa diventare.




Mattia Macchieraldo:

Video su YouTube dell'intervento 

Foto Domenico Olivero
Dal 2010 lavoro in coppia con Flavio Palasciano che vive a Vienna. Avendo condiviso lo studio per qualche anno e una volta che ci siamo accorti di basare il lavoro sulle stesse tematiche di fondo è venuto naturale provare a lavorare insieme. Inizio con il presentare il primo lavoro realizzato con Flavio che è stato creato in concomitanza di un concorso d’arte a Rivarolo che aveva come tema l'identità. Il titolo, che continua ad essere provvisorio, è Homo Sapiens Sapiens; in questo lavoro si vuole mettere lo spettatore, il fruitore in una posizione di spaesamento: a livello pratico, si entrava nella sala e si vedeva una proiezione su di un paravento. Nel momento in cui si entrava in questa sorta di confessionale il proprio volto veniva sovrapposto ad uno specchio con una serie di personaggi che abbiamo scelto, prendendo spunto da citazioni letterarie, o eventi particolari. Ad esempio, in quel periodo, erano passati pochi mesi dall'attentato in Norvegia da parte di Anders Brevik e il suo volto era uno di quelli presenti nella carrellata di immagini proiettate, con altri personaggi, da Pirandello a Lombroso, etc. Il gioco di proiezione/rifrazione era possibile interponendo un semplice specchio tra spettatore e proeittore creando una rifrazione sullo specchio e quando c'era un'immagine frontale, situata ad un'altezza media, lo spettatore si trovava quasi accecato ma non riusciva più a riconoscere il proprio volto perché sovrapposto alla proiezione di un altro volto. Avevamo scelto 80 personaggi posti su un proiettore Carosuel, immagini di dittatori, autori di genocidi. E' comunque un lavoro in fase di riprogettazione, soprattutto dal punto di vista allestitivo.
Passiamo ad un altro lavoro, "This world is too small for us: possibilities and broken hopes”. Questo ciclo di lavori ha molte sfaccettature. Era un periodo, e lo è ancora, in cui eravamo appassionati di geografia, di mappature di ogni tipo, di cartografie. Venuti a conoscenza della storia di Percival Lowell abbiamo deciso di creare una serie di lavori partendo da lui. P.L. era un magnate americano di fine '800 appassionato di astronomia, che si era fatto costruire un osservatorio, il più grande all'epoca negli Stati Uniti. Lowell si autoconvinse che ci fosse vita su Marte a causa di un errore di traduzione in inglese di Schiapparelli della parola "canali": il termine fu tradotto con il termine "canal" anziché “channel”; “canal” sottintende un lavoro di manufatto, fatto dall'uomo e da qui lui ha cominciato a fantasticare su una papabile esistenza di vita su Marte passando anni della sua vita all'interno dell'osservatorio a mappare Marte. 

Scrisse diversi libri, il più importante “Mars and its canals” dove ci sono tutte le fotoincisioni dei disegni originali. Questa tesi è comunque durata pochissimo perchè venne bocciata poco tempo dopo.
Questo errore umano ha dato inizio a questo ciclo di opere che si divide in più sottoinsiemi. L'installazione che è nata da questa idea può essere implementata, può essere interpretata come una serie di elementi che funzionano in diversi sistemi installativi ed è in una continua evoluzione. Le vasche che vedete contengono sale cristallizzato, ottenuta dall'evaporazione di acqua salata sollecitata con fari, piastre riscaldanti. Questa parte dell'opera è quasi totalmente scenografica. Ne viene fuori un discorso scenografico/estetico perchè queste superfici viste da vicino a volo di uccello possono ricordare i pack ghiacciati, dei deserti ghiacciati. Nell'antichità l'Antartide era stata considerata per poco tempo la cosiddetta Arcadia, poi rivelatasi tutt'altro che un paese ospitale. Lo stesso contrasto/gioco tra Arcadia e utopia era un elemento che ci divertiva molto. Vicino alle vasche abbiamo accostato una fotografia a rievocare un paesaggio marziano, in realtà l’immagine che vedete non è che un fake, creata fotografando in un certo modo un certo oggetto - questa in particolare è un particolare di un lavoro di Kiefer ai Magazzini del Sale di Venezia - . Da lì abbiamo iniziato a "giocare" sul fatto di come può essere percepito un determinato particolare. Possiamo ad esempio usare anche una semplice lamiera che era stata battuta e poi corrosa, qui con il sale, per utilizzare poi lo strumento fotografico, come inganno per eccellenza, per fare una nostra speculazione a livello spaziale sempre geografico.
La ricerca è nel nostro lavoro uno step non imprescindibile ma quasi; quando troviamo il nostro eroe romantico da una parte oppure una storia divertente dall'altra o vediamo ciò che è stato già fatto c'è subito un primo tentativo di rielaborarlo secondo il nostro gusto personale. 

Ciò che ha dato vita a questo ciclo (Possibilities) è stata anche la scoperta di due fotografi non professionisti ottocenteschi: James Hall Nasmyth e James Carpenter che fecero dei modellini della luna nell'800 e la fotografarono. Da qui è nato il primo ciclo di "Possibilities" formato da stampe d'arte, incisioni calcografiche, litografie, fotografie analogiche in B/N. Queste ricordano delle viste satellitari. Abbiamo fotografato in studio, il tutto ripreso dall'alto, delle vasche di acqua colorata, contenenti delle strutture che abbiamo conformato con del talco idrorepellente, come una sorta di ghiacciaio.

Vi dico ancora due parole su un video che sarà poi in mostra all'osservatorio di Pino Torinese.
Parliamo di un altro "eroe", di Felix Baumgartner, protagonista di un’operazione mediatica sponsorizzata da RedBull e in diretta mondiale. Quindi, il 14 ottobre 2012, il paracadutista austriaco si lancia da quasi 39.000m. La velocità massima raggiunta durante la caduta, 1.357,64 km/h, è superiore a quella del suono. Baumgartner conquista il titolo di uomo più veloce in caduta libera. L’opera è un estratto dal video di quel lancio. Il paracadutista è filmato dalla Terra mentre attraversa la stratosfera, immagini dove non è riconoscibile. Il salto, durato in verità pochissimi minuti, prende la forma di una danza pigra e incomprensibile, mentre l’immagine del nuovo eroe, pronto a sfidare la natura, si trasforma in una piccola sagoma sfocata che si sposta nervosa sulla superficie della cupola.

Paolo Leonardo:

Video su YouTube dell'intervento 
 




Cosimo Veneziano:

Video su YouTube dell'intervento

Foto Domenico Olivero
La mia metodologia di lavoro è in parte processuale, quindi i lavori che vi illustro sono frutto di complessi processi.

Il primo progetto che presento è durato circa due anni, successivamente presentato in una mostra personale presso lo spazio Careof DOCVA a Milano.

Il progetto nasce da una colletiva presso il museo PAC di Ferrara, frutto di una mia indagine su alcuni lavori presenti nella collezione del museo firmati da artisti con un buon inizio di carriera. Per svariate ragioni, tuttavia, questi artisti nel tempo sono stati inglobati in circuiti di minore peso culturale e progressivamente sono scomparsi dalla storia e dal mercato dell'arte.

In seguito all'intervento, ho avviato un dialogo con il curatore Denis Isaia per approfondire i meccanismi di genesi e consolidamento degli ecosistemi dell'arte contemporanea. A partire dalle considerazioni che sono emerse e dalle ricerche effettuate, è nata una “mappa madre” raffigurante una sintesi dei meccanismi e delle norme che hanno determinato il valore nella storia dell'arte.

La mappa è stata completata da uno slide show dedicato ad alcune icone del progetto: foto di gruppo di artisti che hanno creato manifesti o correnti artistiche, foto di artisti vincitori di premi di minore caratura, immagini di allestimenti, scatti rubati durante gli opening.

SUSANNA MESSAGGIO premiata 1986

TERRUSO,DECCA,GAULI e  modelle  1983

TONO ZANCANARO e modella 1983


L'insieme del materiale è stato proposto come base di un workshop sviluppato con le scuole partner del progetto: il Liceo Artistico Caravaggio di Milano, il Primo Liceo Artistico di Torino, il Liceo Artistico Bruno Munari di Cremona. Agli studenti, dopo un'introduzione, è stato chiesto di destrutturare e ricomporre la “mappa madre” a seconda delle loro conoscenze e soprattutto dei loro desideri.

Ciò che è emerso è un vero e proprio atlante, reale e ipotetico, della storia sociale dell’arte, nonché una mappatura a volte naif, altre volte spiazzante, dell'esercizio ipotetico di un’istituzione culturale. Di Riflesso Cattedrale (il titolo è tratto dall'omonimo racconto di Carver in cui un cieco descrive una cattedrale), rivela agli occhi degli studenti un impianto istituzionale scarsamente aperto alle emozioni, che persegue scopi democraticamente nebbiosi, incapace di realizzare i suoi sogni.




Il progetto Cattedrale  riflette anche sulla metodologia,  nella maggior parte dei laboratori che in genere vengono svolti all'interno dei musei,  in cui ci si basa sul concetto del "fare" e non di  “pensiero”.  Ho chiesto alle classi partecipanti del progetto di partire dalle parole chiavi della mappa, e  di aggiungerne altre,  come vedevano questa partenza e come si immaginavano una progettazione di un sistema dell'arte o di un sistema culturale, come  pensano  e immagino il settore  delle arti visive. 

Dopo una prima tappa presso il Crac di Cremona, ora a Careof DOCVA Cattedrale sviluppa nella sua integrità il percorso che ha dato origine all’intero progetto (il materiale di ricerca, le mappe sviluppate durante i workshop, i testi) e apre una finestra sulla pubblicazione serigrafica a venire che conterà una sintesi delle mappe restituite dagli studenti a cura di Cosimo Veneziano.
Le pubblicazioni in serie limitata sono state donate alle scuole partecipanti.

Il progetto Cattedrale  riflette anche sulla metodologia,  nella maggior parte dei laboratori che in genere vengono svolti all'interno dei musei,  in cui ci si basa sul concetto del "fare" e non di  “pensiero”.  Ho chiesto alle classi partecipanti del progetto di partire dalle parole chiavi della mappa, e  di aggiungerne altre,  come vedevano questa partenza e come si immaginavano una progettazione di un sistema dell'arte o di un sistema culturale, come  pensano  e immagino il settore  delle arti visive. 

Il monumento creato sotto la commitenza del comune di Edolo dove ha indicato l'area di lavoro, due cedri del libano tagliati per motivi di sicurezza stradale, parte dal analisi di tre fondi fotografici storici privati. Dai fondi fotografici sono state tratte le immagini che descrivono la storia del paese, concentrando la ricerca principalmente sulle architetture, simbolo della stratificazione storica del paese. Inciso solo il primo strato, andando a ricreare una colonna coclide, la parte fondamentale del lavoro e la superficie scolpita, un albero vivo. Il progetto intende lavorare sul tempo del monumento.
Un tempo “limitato” che cambia la stessa struttura del monumento andando a ribaltare il concetto di temporalita presente nelle strutture monumentali.
Il lavoro è stato realizzato con il supporto tecnico della scultrice Milena Berta.



Progetto Diogene:

Video su YouTube dell'intervento



venerdì 16 maggio 2014

Davanti a un fiume in piena #7
Bike Edition @ AccaAtelier
7-8 giugno 2014



Bike tour
per gli studi degli artisti torinesi
in occasione di AccaAtelier


 
In bicicletta insieme facendo tappa in 24 studi di artisti torinesi. E’ questo il programma di Davanti a un fiume in piena#7, la settima “puntata” dell’iniziativa lanciata l’anno scorso dai fannidada, a cui si potrà gratuitamente aderire sabato 7 e domenica 8 giugno. La proposta è realizzata in occasione di AccaAtelier, una due giorni di studi aperti organizzata dall’Associazione Culturale Acca.

I luoghi di incontro per gli appassionati dell’arte e della bici saranno due per ogni giornata: 

sabato 7 giugno 
  • alle 11 in piazza Carlo Alberto c/o Inner Space
  • alle 15 in Largo Montebello
domenica 8 giugno 
  • alle 11 in piazza Carlo Alberto c/o Inner Space
  • alle 15 in Largo Montebello
Sono inoltre previsti aggiornamenti in tempo reale tramite i social network.

“Abbiamo pensato ad un ribaltamento dei nostri consueti appuntamenti di incontro/confronto sull’arte nel nostro studio di piazza Carducci. Grazie all’iniziativa dell’associazione Acca, che è stata ospite da noi, questa volta siamo noi a uscire dal nostro studio per andare, e portare altri appassionati, a conoscere gli artisti là dove operano” – dicono i fannidada, ovvero Fanni Iseppon e Davide Giaccone, che da circa dieci anni sviluppano una ricerca che si esprime attraverso la fotografia, il video e le videoinstallazioni.

Acca è parte di un movimento internazionale che vede percorsi simili in altre città con le quali è gemellata e ospiterà nell’edizione torinese. Le altre realtà coinvolte sono Ouverture d’Atéliers d’Artistes di Marsiglia; Abertura Ateliers de Artistos di Lisbona; Estudio Abierto di Buenos Aires e quella di Berlino.

Fanno parte dell’Associazione Culturale Acca sei artisti che operano a Torino: Claudio Cravero, Carlo Gloria, Jins/Paolo Gillone, Ernesto Morales, Cristiano Piccinelli e Walter Visentin.

Per info:

tel. 334.6734289  
e-mail: fannidada@gmail.com

Ufficio stampa: 

Silvia Duchi Tel. 389 0113335



Ecco gli studi che abbiamo visitato:

Laura AMBROSI, Via Artisti 33/A - Torino
ospita: Almut Muller (Berlino)




Maura BANFO / Francesco SENA, Via Artisti 19 bis - Torino
Ospitano: Zeynep Perincek (Marsiglia) - Salvatore Astore - Jessica Carroll - Luciano Gaglio - Andrea Massaioli - Bartolomeo Migliore - Luisa Valentini - 
Reading Favole svelte, un progetto di Valeria Bianchi Mian




Silvia BECCARIA, Via Guastalla 5 - Torino




Paola BISIO, Via Principe Tommaso 22 - Torino
Ospita: Valentina Addabbo - Francesco Coia 




Alberto Castelli, Corso Regina Margherita 89 - Torino
Ospita: Marco Bettio - Francesco Di Lernia - Sara Ledda



Fulvio Colangelo, Via Mazzini 39 - Torino
Evento: Mostra collettiva "Vedo la luce", sculture luminose per un'Europa Illuminata.




Claudio Cravero, Via Vanchiglia 16 - Torino
Ospita: Marijo Foehrlé





Marco D'Aponte /Gloria Fava, Via Accademia Albertina 27 - Torino
Ospita: Rodrigo Bettencourt da Camara e Teresa Palma (Lisbona)

 


Mauro FALETTI, Via C. Battisti 17 - Torino
Ospita: Sara Maja (Lisbona) - Ennio Bertrand - fannidada - Matteo Ferreri - Tea Giobbio - Marco Memeo - Silvio Valpreda




Giulia GABETTO, Via Maria Vittoria 4 - Torino
Ospita: Simona Galeotti - Davide Le Grazie




GALO, Via Saluzzo 11/G - Torino
Ospita: Guerrilla Spam




Danila GHIGLIANO, Via Artisti 1 bis - Torino
Ospita: Daniela Crespi (Lisbona) - Matilde Domestico - Antonella Piro 




Stefano GIORGI, Via Belfiore 5H - Torino
Ospita: Max Bottino - Andrea Guerzoni - Enrico Tealdi


Daniele GIUSTAT, Via Guastalla 27 - Torino
Ospita: Riccardo Nervo


Carlo GLORIA, Largo Montebello 35 - Torino
Ospita: Lucie Bitunjac (Marsiglia) - Jerry Di Fonzo - Pierluigi Fresia -
Cristina Mandelli



JINS, Largo Montebello 35 - Torino
Ospita: Stéphanie Ruiz (Marsiglia) - Erika Fortunato - Giovanna Giachetti



Paolo LEONARDO, Via Giolitti 11 - Torino



Ernesto Morales, Via Goito 17 - Torino
Ospita: Alberto Morales (Argentina) - Sarah Boyer - Octavio Floreal



Cristiano Piccinelli, Via San Pio V 14 - Torino
Ospita: Clémentine Carsberg e Arnold Degiovanni (Marsiglia) - Alessandro Calligaris - 
Evento: progetto speciale Pierluigi Pusole e Walter Visentin



Progetto Diogene:

 


Saro Puma, Via Carlo Alberto 43 - Torino
Ospita: Carlo Galfione - Jean-Paul Charles



Silvia Reichenbach, Via Sant'Anselmo 34/E - Torino
Ospita: Salomé Nascimento (Lisbona)



Marzio ZORIO / Anna IPPOLITO, Via Giulia di Barolo 13 C - Torino
Ospita: Artstom Parchynski (Bielorussia)




giovedì 10 aprile 2014

Davanti a un fiume in piena #6
ospiti al PAV Parco Arte Vivente
6 Aprile 2014



 Domenica 6 aprile, a partire dalle ore 15,


il sesto appuntamento di "Davanti a un fiume in piena" è ospitato  nell’ambito delle Attività Educative e Formative del PAV - Centro Sperimentale d'Arte Contemporanea in Via G. Bruno 31 a Torino,

Si tratta di un momento di contatto diretto con gli artisti Ennio Bertrand, Andrea Chidichimo, fannidada, Diego Pasqualin, Valter Luca Signorile, Arianna Uda, Walter Visentin, che attraverso la loro esperienza creativa hanno dato vita a un momento di confronto e dibattito con il pubblico.

fd: Buongiorno, volevamo ringraziare il PAV e in particolar modo Orietta Brombin che ci ha invitato a portare la sesta puntata di "Davanti a un fiume in piena" qui al PAV.
La nostra esperienza artistica è maturata anche grazie ai workshop che abbiamo frequentato qui al PAV e che ci hanno ispirato, forse inconsciamente, ad organizzare questi appuntamenti.
Di cosa si tratta: sono degli incontri rivolti agli artisti ma aperti a tutti che si svolgono ogni due mesi circa nel nostro studio in piazza Carducci. Invitiamo degli artisti a presentare il loro lavoro o dei loro progetti sui quali vogliono confrontarsi. Non si tratta di una mostra ma di un vero e proprio momento di sperimentazione collettiva e di dialogo. Questi incontri hanno anche lo scopo di creare una rete di relazioni tra gli artisti presenti sul territorio che molto spesso non si conoscono tra loro, approfondire i diversi linguaggi con cui l'artista oggi può esprimersi ed in ultimo, ma non per importanza, stabilire un dialogo costruttivo tra l'arte e la cittadinanza.
C'è poi un'altra ragione che va oltre l'ambito artistico in senso stretto: l'urgenza di agire per generare fermenti volti ad abbattere quel senso di negatività che ci sta avvolgendo.
Ci siamo resi conto che iniziative analoghe alla nostra stanno sorgendo o sono già sorte sul territorio segno che l'arte è un forte motore e generatore di cambiamento.
E' "l'attivismo dell'azione diretta" di cui parla lo scienziato Brad Werner, studioso dei sistemi complessi presso l'università di San Diego in California.
Ed ora presentiamo i diversi artisti:



Ennio Bertrand con:  
"Paure", Telefoni interattivi per voce sola 
Testi di Giuliana Bertolo, voce recitante di Eleni Molos

Lavoro già da diversi anni sulla parola, sui racconti; ho esteso questo lavoro sul racconto ad un workshop che ho lanciato recentemente a Barriera dovo ho invitato i ragazzi tra gli 8 e gli 11 anni a scrivere delle brevi poesie sottoforma di haiku, cioè tre frasi e non di più. Credevo che la cosa fosse stata presa sotto gamba, invece nel giro di due mesi hanno prodotto più di 200 poesie, che poi sono state lette dagli stessi autori, i files delle poesie sono stati inseriti in un computer per un'installazione composta da piccole bocche di gesso che soffiandoci dentro pronunciano le poesie scritte dai bambini.
Questa installazione verrà presentata il 23 maggio alla biblioteca Levi in Via Leoncavallo.
Qui al Pav ho portato quattro telefoni, sollevando la cornetta si possono ascoltare dei brevi racconti di paura scritti da Giuliana Bertolo e recitati dall'attrice Eleni Molos.
Siete invitati ad ascoltare questa voce che viene da lontano che racconta solo per voi queste storie paurose, paure molto piccole, molto esili che fanno riferimento a dei ricordi di infanzia della scrittice.




Andrea Chidichimo


Io inizierò a "cucinare" una specie di dipinto fatto al volo attraverso una tecnica che utilizzo ormai da 14 anni che utilizza la combustione di vapori con incensi naturali, con delle resine e profumi particolari che creano un fumo, una caligine dalla quale poi emergono delle immagini su di una superficie. In questo caso il fumo si adagia sul supporto, io decido di controllare quest'azione e alle volte invece di lasciare che il caos agisca dal punto di vista sensibile del non controllo assoluto della materia pittorica che si muove.
Oggi deciderò di fare l'intervento con la caligine su di una lastra di dibond (materiale ignifugo, classe A come antiincendio), alcuni ingredienti come resine invecchianti, resine come leganti e userò un solo colore ad olio, l'ossido di ferro, che è un colore, un pigmento trasparente.
La scelta dei pigmenti trasparenti è molto importante nella pittura per quello che riguarda il mio lavoro perchè permette di vedere sempre un poco ciò che c'è dietro ed anche dal punto di vista filosofico capire per vedere ciò che c'è dietro è un aspetto che a me personalmente ha sempre interessato.
Mescolerò queste due tecniche, la pittura ad olio con i vapori di paraffina e lo farò per la prima volta all'aperto perchè io in genere lavoro nel mio studio dove l'aria è assolutamente ferma e dove posso avere il controllo assoluto di questo caos che ho generato, mentre qui all'aria aperta non so cosa succederà.
Nelle prime due ore con questa tecnica dei fumi stabilisco un primo strato dove già il cervello può cominciare a lavorare attivando le sue sinapsi e riconoscere ciò che sta dietro al fumo.
Poi con il pennello imbevuto nelle resine tolgo e metto il colore, in funzione di ciò che io vedo.
Ho usato queste due tecniche fuse insieme, quella della fuliggine con la pittura ad olio, il risultato che vedete è soltanto un risultato iniziale perchè non basta così poco tempo per realizzare un lavoro di livello con le diverse profondità, con lo studio delle cromie realizzate in maniera esatta.
In questo paio di ore solo due colori sono stati già molto complessi da gestire, anche perchè il sole scaldava l'alluminio, la resina asciugava con tempi molto rapidi rispetto al chiuso dello studio, e quindi la pennellata modificava anche il risultato.

Foto di R. Perugini
Foto di R. Perugini

fannidada


La nostra indagine verte sull'antinomia artificiale-naturale e sul rapporto che
intercorre tra i due.
Lavoriamo principalmente con il video ponendo attenzione più al processo di generazione delle immagini che alle immagini stesse filtrando il segnale video attraverso elementi naturali mettendo così in relazione l'artificiale con il naturale. Gli elementi naturali che utilizziamo sono i più diversi: acqua, terra, foglie, fiori… Per questa giornata abbiamo raccolto delle foglie del parco del PAV che utilizzeremo per filtrare un breve video.

 







Diego Pasqualin


Ho accettato la proposta di venir qui a parlare del mio lavoro, ed è per me un po' particolare perchè io mi occupo di scultura, e in particolar modo di piccole sculture esposte sotto vetro, e quindi l'idea di rappresentare all'esterno un mio lavoro è stata una sfida.
Il titolo dell'opera che ho scelto di portare è "Il tuo dir e 'l tacer di par m'alletta", è una frase tratta dalla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso e l'idea era quella di riattualizzare e di portare ai giorni nostri il dramma di Tancredi e Clorinda.
I miei lavori ruotano intorno alle relazioni sentimentali, all'interazione tra le persone e all'interazione con il prorprio corpo. La domanda che mi ero posto nel caso di Trancredi e Clorinda era proprio quanto siamo in grado di dare e di "vederci" in una relazione d'amore che generalmente uno dice di conoscere la persona che ama, ma in realtà loro due nonostante l'amore non erano stati in grado di vedersi perchè quando Tancredi ha chiesto all'altro guerriero di togliersi l'elmo, non è stato tolto e loro due non si erano riconosciuti. Per questo motivo nelle maschere gli occhi sono stati coperti. Tancredi chiede il nome all'altro guerriero e l'altro si rifiuta di dirglielo e quindi neanche le voci hanno permesso di riconoscersi e l'epilogo ovviamente è drammatico, perchè nella lotta violenta uno ferisce a morte l'altro e fondamentalmente la loro relazione d'amore muore in questo dramma. Questa è la storia che sta dietro a questo lavoro.
Le maschere sono realizzate con un materiale che io uso in genere per le mie sculture, si chiama "Rodoid" un acetato naturale usato generalmente nell'occhialeria di lusso. E' ottenuto dalla lavorazione del cotone, fatto passare attraverso delle calandre, viene impastato con dei solventi e dei pigmenti naturali. Ogni mio lavoro resta unico nel vero senso della parola perchè ho la possibilità di attingere all'archivio storico dell'azienda che mi lascia quello che per loro sono dei fondi di magazzino ma che fondamentalmente sono le uniche e le ultime lastre di quella collezione, perchè loro lavorano con l'alta moda e di conseguenza producono un numero limitato di lastre per gli stilisti.
Questo lavoro delle maschere è l'unico lavoro che ho realizzato con il calore, perchè in realtà questo materiale teme il calore, non è infiammabile perchè evaporano gli acetoni che sono all'interno e se evaporano troppo in fretta tende a bruciarsi e quindi perde il suo colore e le sue caratteristiche. E' un materiale che necessita molta attenzione alla lavorazione. Io in genere incollo le diverse lastre una sull'altra tramite acetone, le lascio in morsa per diversi giorni per ricreare un blocco unico e poi di lì con lima e raspe intervengo e creo le mio opere.




Valter Luca Signorile, in una performance dal titolo:
"Je ne serai pas seul tant que tu me couvriras"



 La performance reca il titolo "Je ne serai pas seul tant que tu me couvriras", vale a dire "Non sarò solo fin tanto che  tu mi coprirari".
Sono giunto alla sua concretizzazione a seguito di una riflessione su alcuni scritti di Ernesto De Martino (1908-1965) etnologo nonché filosofo, ed in particolare rivolgendo la mia attenzione alla sua tesi concernente la “crisi della presenza” ed alla funzione del rito in tale contesto. Attraverso il suo pensiero ci viene raccontato come l'uomo, di fronte a determinati avvenimenti di forte impatto quali possono essere una malattia, una morte, una guerra possa ritrovare attraverso il rito un elemento di soccorso e di aiuto. Interessanti inoltre sono i suoi studi sull’elaborazione del lutto e del pianto rituale con particolare riferimento alle ricerche nell’area mediterranea.
Traendo pertanto suggerimento dalla profonda contemporaneità di tali riflessioni ho proposto nello specifico un rituale riunendo elementi diversi in un unico schema performativo.
Il filmato di un urlo elaborato attraverso l’ascolto di un’altra voce urlante, il corpo abbandonato a terra che induce ad una reminescenza sia del sonno che della morte ed infine una composizione dorata composta da 49 coperte isotermiche ancora ripiegate e che esemplificano nel numero la mia età anagrafica.
Il pubblico in questo contesto, soddisfa il compito principale vale a dire quello di intervenire sul corpo attraverso la copertura, posando su di esso i drappi dorati ed accompagnando l’azione con le proprie personali e collettive reazioni emotive, mutate nel tempo come ho avuto modo di percepire nell’avvicendarsi del mio stare immobile sino al completo svolgersi del tutto.

Foto di R. Perugini

Foto di R. Perugini

Arianna Uda, in una performance dal titolo:
"Connessioni fischiate"



Questa performance è nata semplicemente dall'osservazione della realtà, ha diverse sfaccettature. La prima è che la musica si fissa nel nostro inconscio senza che noi ce n'accorgiamo o che lo vogliamo. Il fischio crea queste connessioni tra le persone. Oltre ad essere una connessione tra le persone il fischio viene ripetuto e questo si ripete all'infinito.
La mia azione è anche un invito a prestare orecchio alle altre persone e in questo modo tutti possono diventare potenziali artisti. La persona che fischietta per strada può essere un potenziale perforrmer oppure no, quindi questa interazione tra la realtà e l'arte può anche condurre alla conclusione che l'arte diventa realtà.


Walter Visentin con Drawing Room
 

Ho portato qui al Pav una mia installazione del titolo "La macchina per immaginare", è una costruzione dove ci si può salire, si può immaginare. E' composta da materiali di recupero come solitameante faccio, raccolgo materiale qua e là, infatti il video che vi farò vedere riguarda sopratutto questo argomento cioè, il materiale e il lavoro di recupero. Questa "macchina per immaginare" è una scultura utilizzabile presentato insieme ad un gruppo nel 2009 a Venezia alla Biennale durante un progetto parallelo ai Giardini. Poi il progetto continuerà, nel senso che questa macchina seguirà ed andrà a raggiungere altri artisti che utilizzano il disegno. In realtà l'ho fruita in varie forme, è un oggetto che mettendolo all'aperto a disposizione di chiuque attira e crea nuove relazioni, inaspettate  relazioni. Una delle ultime volte l'ho portata a Marsiglia ed anche qui, per strada, è stato molto interessante vedere come le diverse persone si relazionassero con questo oggetto. I miei lavori tendenzialmente sono sculture che accolgono l'uomo, è un'esigenza di cui avevo bisogno per aggiungere all'opera la possibilità di essere letta non dal di fuori ma dal di dentro di essa. Permettere di entrare nell'opera e guardare il mondo attraverso a sè, attraverso questa materia.
Nel video vi faccio vedere "La casa albero" che è una collezione privata a Torino, in questo video si vede bene il materiale che utilizzo nello specifico le difficoltà di questo tipo di costruzione. Solitamente ricostruisco lo spazio dove devo intervenire con dei modellini in scala ridotta, con l'albero non era possibile in quanto era complesso creare un modello, per cui non ho fatto altro che rimanene nei paraggi dell'albero per 6 mesi, stando su cercando di costruire una rete che andasse ad incastrarsi con le parti dell'albero. La prima fase è quella della ricerca del materiale che solitamente avviene nelle zone periferiche, discariche naturali spontanee, in quel margine di città sempre in continuo cambiamento, spostamento che non è mai un limite preciso che convive con diverse persone. A me questa fase interessa perchè porta ad una metamorfosi, per me è di grande stimolo questo passaggio. L'oggetto perdendo significato, si antropizza e diventa materia allo stato puro. Poi mi sono concetrato sui volatili, prendevo dei pezzetti e li portavo sull'albero montandoli con cura, questa costruzione è durata una anno. Ho usato materiali diversi sia il legno, che la plastica e il ferro, per situazioni diverse, ho fatto uno scheletro di legno molto resistente, poi ho utilizzato porte e finestre per le "pareti" e le plastiche e il metallo per ciò che riguarda la copertura. Un'altra fase è quella di progettare quasi totalmente l'oggetto che voglio ma non posso farlo fino in fondo perchè non saprò il materiale che troverò per quella costruzione, mi lascio una parte che è di pura improvvisazione.
Per questa costruzione non ho usato nessun perno, ho costruito una rete da me composta che va ad incastrarsi in piccoli punti opposti all'apertura del palco dell'albero per cui rimangono come due reti una dentro l'altra, come maglie che restano ingabbiate. Poi ho fatto solo un perno centrale in modo che tutta la mia struttura possa muoversi per limitare il meno possibile il movimento dell'albero...tanto vincerà lui!
Questo fa sì che la mia struttura non vinca, in modo che non ci sia opposizione, non voglio mettere un oggetto che limiti la sua crescita.

giovedì 20 febbraio 2014

Davanti a un fiume in piena #5
16 febbraio 2014

Con la quinta puntata di "Davanti a un fiume in piena", inizia il secondo anno di incontri che abbiamo voluto rimarcare chiedendo a Raffaella Spagna & Andrea Caretto di suggerirci tre domande da porre agli artisti:


1. Quando e come ti sei reso conto che quello che stavi facendo era qualcosa di diverso, che poi hai capito che era Arte?

2. Quando e in che modo si è manifestato l'istinto a compiere delle azioni che possono essere considerate "Arte"? hai riconosciuto subito che si trattava di una "tensione estetica" o poteva essere anche altro?

3. Come artista, oggi nel 2014, a quali urgenze risponde il tuo lavoro?

Nella mattinata hanno presentato il loro lavoro: 

Ennio Bertrand, con un'installazione per telefoni vintage affettivi dal titolo "Sarcofoni", con testi e voce di Ivan Fassio


Ennio Bertrand: questo è un lavoro sulla poesia, sui testi, viene dopo altri lavori sulla parola, come quelli delle bocche scolpite sul sapone dove si soffia e parlano. E' un nuovo inizio dove vorrei usare l'oggetto che parla e ti mette in condizione di essere un ascoltante questo per ribaltare un po' la situazione, non sei tu che telefoni ma sei tu che sei "telefonato" per cui diventi oltre modo passivo e ti vengono suggerite delle cose che poi tu puoi raccogliere o meno e farne quel che vuoi.
Il termine "Sarcofoni", con i relativi testi che si possono ascoltare dai telefoni, sono di Ivan Fassio, che ora ce li presenta.


Ivan Fassio: recentemente ho iniziato a scrivere tre testi in prosa che hanno a che fare con la realtà biologica interpretata non scientificamente ma secondo suggestioni filosofiche, poetiche, creative. Vedere cosa ci sarà dopo la morte e cosa c'è prima, una specie di biologia.
Mi muovo anche sulla etimologia, delle libere ricerche etimologiche "falsate" e inventate da me.
Il sarcofono è colui che divora la carne quando l'uomo non c'è più, dal termine "Sarx" che indica la carne, accostata a "Phoné"= voce, suono, diventa "la voce della carne".
I  testi che si possono ascoltare dai telefoni hanno come tema quello della carne.
Io penso che tutti gli artisti lascino dei "residui" di linguaggio, questo in modo consapevole o meno, ma che poi diventano degli archetipi.

E. B.: una delle componenti più importanti potrebbe essere quella della passività. Sei all'interno di un flusso, che non è poi troppo dissimile da quello che sta fuori, dove vieni raggiunto da sollecitazioni, da messaggi, da cose che ti vengono trasmesse, poi tu ricostruisci un racconto a tua misura, con le tue conoscenze, le tue percezioni, come ad esempio sul tema della carne, del suo disfacimento, della perdita e poi tu ricostruisci un tuo percorso personale. Mi sembra interessante la possibilità di ricostruire una realtà che ci sta sfuggendo, che si è frammentata che si è sbriciolata, da questi frammenti si può ricostruire un contesto che possa servire a qualcuno, al mondo contemporaneo.

I. F.: proprio questo riferimento all'essere consci, molto spesso consapevolmente o meno, di essere passivi è un problema dell'occidente, quello di percepirsi sempre come oggetti attivi che possono fare ma che in realtà "nulla" possono. Un ritorno a un concetto barbarico, orientale, "barbarico" non come incolto ma come un ritorno all'origine, alla mistica, alla carne, alla percezione della nostra esistenza per il valore che ha.

"Sarcofoni" di Ennio Bertrand con Testi e Voce di Ivan Fassio

Alle tre domande proposte come rispondete?
In questo vostro lavoro, c'è un'urgenza di comunicare qualcosa?

E. B. per quanto riguarda la prima, mi è venuto in mente un ricordo. Circa un mese fa mi ha raccontato mia mamma una storia, se ne venuta fuori così…"Ah, sì tu all'asilo avevi vinto il primo premio di disegno, era il più bello!", così sono caduto dalle nuvole, perchè non mi ricordo assolutamente nè dell'asilo nè tanto meno del premio, ho avuto un flash, ma ho quello è basta. E' quindi come se avessi un obbligo da rispettare...è indotto. E' come avere una malattia, la cura esiste ed è nel frequentare la malattia, per cui esiste la cura.
Per quanto riguarda l'urgenza, ieri sera c'è stato un evento al Cafè Basaglia, un reading di poesie, dove ho avuto la senzazione di un ego che strabordava da tutte le parti, allora mi chiedevo, va bene per chi è protagonista in quel momento sale sulla cattedra e legge la sua poesia, ma per quelli che ascoltano cosa c'è?, bisogna "rapportare" questi egocentrismi, visto che io ti do il mio momento di ascolto, vorrei ricevere qualcosa in cambio. Molto semplicemente, parafrasando il telefono, si offre, ma ti da in cambio qualcosa, vorrei che fosse così anche per il resto, uno scambio. Altrimenti diventa un'esibizione personale. L'urgenza quindi è quella di stabilire delle relazioni.


Tony D'Agruma con il video "Mi rendo conto" che sarà parte della seconda tappa "La stanza della verità" del Progetto Voyeur of myself

Performer che si è occupato per molti anni di teatro danza. Ha un'associazione che si chiama "Forma Libera", questo progetto che vedremo ora, fa parte della scenografia di una performance in cui lui interagirà con il video. Il suo progetto è "Voyeur of myself", e porta ad evocare e a fare emergere in modo esplicito ciò che per lui è veramente necessario raccontare, cercando la chiave per cui il pubblico trovi agganci nel proprio vissuto e si riconosca in qualcosa di apparentemente intimo e biografico. La presentazione di tale progetto si conclude con la parola "scorgersi" perchè il progetto si intitola "Voyeur of myself" quindi è un voyerismo introspettivo, estremamente spietato nel quale è difficile restare distaccati osservatori, è facile trovare elementi di essenziale identificazione.
"Mi rendo conto" è il video introduttivo della performance della seconda parte intitolata "La stanza delle verità" è in esso ispirandosi ad artisti sonori, c'è un discorso di contenuti profondi e colmi di interrogativi. L'audio viene disarticolato con una manipolazione sonora che lo porta dal rumorismo incomprensibile all'ascolto esplicito. In controtendenza biologica il percorso verso la comprensione viene raggiunto passando dalla narrazione di una donna anziana per giungere a quella di un'adoloscente. Alle spalle delle narranti, un fondale pulsante e cangiante dà il senso di un respiro e di una pulsazione cosmica incombente.



Fabio Mendolicchio presenta il suo libro "SiamoTuttiAllenatori"
edito da CantaCarta Editore

Mi occupo da tanti anni di cucina, ho fatto la scuola alberghiera, esperienza che è finita nel 2010, nel frattempo ho studiato anche tecnica del suono, grafica creativa, video e nel 2010 ho fondato "Miraggi Edizioni", casa editrice con le copertine in carta da pacchi con un foro dove si vede la copertina, ho pubblicato Guido Catalano, Luca Ragagnin ed altri.
Ho scritto sempre per la musica, sono anche musicista, sono un percussionista, e prima di Miraggi Edizioni, ho iniziato questo lavoro, che nasce circa cinque anni fa e ben si adatta oggi alla questione dell'arte. Notiamo che viviamo in una società in cui tutti si sentono in dovere, alcuni in diritto, di dire agli altri che cosa fare o non fare. Io credo che l'arte e l'artista sia colui che dà in primis a sè stesso, per poter far arrivare la vibrazione che ha dentro. Ogni singola persona deve partire dal "dare" e non dal pretendere di ricevere. Io ricevo nella misura di quando do nella vita.
Questo mio libro nasce anni fa al bar mentre facevo colazione, c'erano 4-5 persone che animatamente discutevano della partita della sera prima e quel giorno lì mi si è aperto un varco enorme, ho iniziato per un anno facendo ricerche in giro; le mie giornate erano scandite dal "martello" quotidiano che mi accompagnava. Il libro che ho scritto è un saggio narrativo, ha all'interno tutti gli stili narrativi immaginabili. E' nato come un diario quotidiano, sono dodici capitoli, l'ho concepito come una sorta di manuale che servisse a me per diventare allenatore nella vita. Ogni capitolo ha una tematica, ed ogni tematica è collegata a tutte le altre. Dentro ogni capitolo c'è un supereroe della vita quotidiana, e questi supereroi hanno la caratteristica di "The question", un investigatore filosofo dei fumetti della DC caratterizzato dal fatto
(http://it.wikipedia.org/wiki/Question_%28personaggio%29),  di non avere un volto ma un punto interrogativo e di risolvere i casi con ricerche zen molto spiccate. Mi è piaciuto il personaggio ed è per questo che nel video porto degli occhiali con degli occhi disegnati per "togliermi" il volto e quindi questo supereroe che non ha volto è il "The question".
 
Fabio Mendolicchio
Ora, per rispondere alle 3 domande:
Per la terza mi pare di aver già risposto anche solo con il titolo del mio libro, invece per la prima e la seconda scrivendo questo libro, posso affermare, anche solo per provocazione, che la "magia" esiste e credo che l'indole artistica ci sia sin dalla nascita, ognuno di noi ha il compito di scoprirla strada facendo. Per esempio io ho iniziato a fare musica a 17 anni, provengo da una famiglia che non ha mai sentito musica, non ho mai fatto corsi, ma un giorno è esploso. Secondo me c'era latente e qualcosa l'ha risvegliata.
Qualche giorno prima che questo libro uscisse è mancata mia mamma, ed io l'ho vista come una cosa molto magica. Ho capito molte cose dopo il libro, perchè ci sono molte componenti dedicate alla morte. Importante per capirla è affrontarla.

Voglio chiudere il mio intervento con una dedica, la dedica del libro, a mia mamma:

"Alla mia mamma, allenatrice a cui ho sempre pensato di avere tempo di dire grazie, invece mi ha insegnato in ultimo che il tempo non è mai abbastanza per sorridere, abbracciare e perdonare, quel tempo da sempre sfuggevole per un bacio, per una carezza e per ricordarsi che può darsi che anche la morte è allenatrice, madre ed amante".


nel pomeriggio a partire dalle ore 15:


Rachele Casarotto insieme a Elisa Diaz,  hanno presentato il progetto "Le quattro bambine" liberamente ispirato alla pièce teatrale di Pablo Picasso "Le quattro bambine". Questo progetto è stato sviluppato insieme a Stefania Luberti, Alessandra Lappano, Elvira Sanchez.

Questo progetto nasce dalla nostra collaborazione come pretesto per una performance che comprenda nell'intento a livello paritario le parole del grande pittore Picasso, le immagini e i suoni da lui evocati una sorta di rielaborazione dei movimenti studiati e rivisitati attraverso la danza flamenca con la quale ci ha aiutato Elisa Diaz. Il tempo e lo spazio si dilatano e si rimpiccioliscono, assumono forme inconsuete e conducono verso una quarta dimensione verso un buco nero nel quale "le bambine" si relazionano per mezzo di un gioco a volte maligno e perverso e a volte innocente e fantastico. Una visione più ampia, un modo per mettere insieme sia arte che scienza,  un rimando a quelle che furono le scoperte scientifiche del secolo scorso quale la relatività di Einstein, e di quello che può essere la concezione di una quarta dimensione. 

Riferendosi alle 3 domande. Partendo dall'ultima, la mia risposta è relazionarsi con una realtà perchè è una necessità. Chiederci cos'è questa realtà e di come ci possiamo relazionare con essa. In merito alle prime domande, semplicemente posso dire che "ho visto la luce" andando a vedere il lavoro di altri, che mi hanno stimolato a pensare se lo fanno loro, perchè non posso farlo anch'io?

Rachele Casarotto

Valerio Manghi con il progetto "Sit on the side of a globe"


Vorrei farvi vedere un lavoro che non ha ancora una forma definitiva, infatti mi sono portato dietro diverse forme, in modo da proporlo e vedere se qualcuno ha un'illuminante soluzione per abbandonare tutta una serie di tentativi e passare ad una cosa più definitiva.
Questo è un lavoro che è iniziato circa due anni fa, che consiste nella raccolta di "spazzatura" che si trova in giro per la strada. Ho adottato un filtro, cioè di raccogliere tutto ciò che portava delle scritte, dei segni di penna, di matita perchè era necessario scartare le cose che erano inutili e si accumulavano soltanto. Ho optato per questa soluzione anche perché occupava poco spazio. Questa raccolta racconta di una città, la stessa città, che poi è Torino.
Dopo due anni ho deciso di suddividere i reperti in macro categorie. Allora avevo questa scatola, l'ho ribaltata sul tavolo e poi ho visto quali categorie venivano fuori del tipo: essere bambini, andare a scuola, ammalarsi, innamorarsi… e poi man mano ne scoprivo delle altre in base alla quantità. Nè ho fatto poi delle scatole. In realtà avevo una direzione molto precisa che poi ho messo in pratica questa notte all'ultimo momento. Prendendo da questi barattoli i pezzi di carta raccolti ho iniziato a comporli come in una sorta di racconto, e poi è nata l'idea di un libro, senza testo ma solo di questi pezzi che direttamente raccontassero ma che non fossero individualmente questi pezzi di carta.
Alla fine ho pensato di fare dei collages, anche qui non è ancora definitivo, ho cercato di dare un ordine, una soluzione che potesse raccontare la vita attraverso queste piccole testimonianze. Nel tempo mentre andavo avanti ho adottato una sorta di metodo che fosse basato su un tentativo di concatenare impressione ed espressione cioè da una parte tu parti da un'impressione e poi scremando tutte le foto che fai, riesci a risalire a delle informazioni su di te ma che sono anche testimonianze di storie passate di lì e che io non incontrerò mai.  

"Raccogliere domandando, cercare e distruggere
frugare sè stessi attraverso un concatenamento
continuo di impressioni ed espressione.
Ipotizzare per conoscere, fuggire prima di riconoscere
Se un mondo può andare in pezzi, tanti pezzi possono dare un mondo?
Valerio Manghi
Veniamo alle 3 domande.
Alla terza...sicuramente sfangarla, cioè una soluzione qualunque bisognerà trovarla, poi io che ho avuto la fortuna e la sfortuna di studiare molto ho imparato che se i problemi non li hai te li inventi. Penso a quando io vado a fare legna, mi immagino se a un contadino gli si dicesse beh, tu domani il tuo lavoro è di stare un giorno davanti ad una scatola seduto in poltrona, sotto la finestra, e lui dice, beh. subito!..è il paradiso. Per me il paradiso è spaccare la legna, in modo che a sera non pensi più a nulla perchè sei stanco morto e io sono contento.
Io mi auspico che si capisca qualcosa in questo mondo che forse è nuovo, perchè forse stanno cambiando dei meccanismi economici o forse no, chissà...


Maura Banfo con il video "Round Trip" e "In un pomeriggio estivo"

e per chiudere in bellezza: Gerry Di Fonzo, fotografo... e non solo! 




Ho ricominciato a fare ritratti, erano molti anni che non me ne occupavo più ora faccio linee colorate, ed ho chiuso questo progetto con il 2013. Quest'estate ho una mostra in Francia, sto anche preparando un catalogo e voglio ritornare a fare il fotografo. Ho qui un lavoro freschissimo, che vi propongo, fatto in un teatro di fronte al mio studio dove fanno danza contemporanea. 


Sono dei ragazzi giovani che si occupano totalmente loro della coreografia e delle luci, sono abbastanza famosi, fanno parte del circo, il circo degli artisti di strada, un movimento con dei bei riferimenti artistici sia per la fotografia sia per altre cose, altri linguaggi. Loro usano tutte le discipline. 


Nell'Europa è considerata una vera e propria arte, qui da noi fanno fatica, noi consideriamo numeri da circo soltanto quelli pericolosi quelli con il doppio salto mortale… c'è questo limite culturale, invece questi fanno tanta ricerca. Sono due italiani, lei è una rumena, anche il regista è un verticalista, è toscano, è lui il comandante della compagnia. Queste per loro sono semplicemente delle prove, una specie di residenza per artista, qui a Torino. 


Poi ho iniziato a luglio con un lavoro su "l'uomo e il fango" con Nathan Ismael, è un giocoliere, e queste performance cominciano con le clavette, le lancia in alto, le fa roteare fino a quando cadono per terra, ed anche lui cade a terra dove c'è dell'acqua e dell'argilla e comincia a rotolarsi nell'argilla. E' un racconto preso a prestito da un libro francese sul modello sociale verticalista, per sensibilizzare ad avere la capacità di discernimento, per avere una propria opinione. 


E' una performance, lui parte con 40 chili di argilla, si butta nell'acqua, la lancia in aria, divide poi l'argilla in due volumi da venti chili, poi la seziona, fino ad arrivare a fare giocoleria con delle "pulci" di argilla come dimensioni, poi verso la fine riesce quasi a stare in piedi. La parte finale del racconto, passa da una situazione di un invertebrato ad un essere capace di stare in piedi. Come genere, parte dagli anni 50 con i giapponesi che facevano il "butoh", una risposta alla bomba atomica: "non ci avete annientato e dal fango risorgeremo", e lui prende spunto da questo ma racconta un'altra cosa. Poi ho lavorato molto in postproduzione, alle foto ho dato un incarnito rosso quasi da fucina, per tornare alla terracotta, per essere coerente con il racconto.


Per quanto riguarda le domande...
Ho sempre pensato che qualcosa va spostato perchè ci sia un risultato, non con le bombe ma partendo dal basso, partendo da quello che è la divulgazione, il parlare, il portare a casa dei proseliti, portandone anche solo uno a casa a far riflettere, a me può bastare. L'urgenza è quella di comunicare ed ora siamo arrivati a capolinea, con la storia dell'arte negli istututi pubblici che non si insegnerà più. Per me l'urgenza è pensare che l'arte e comunque la cultura è qualcosa che può spostare. E questo vale anche per la fotografia.